Delizia di Belriguardo - sito Unesco
“Le Muse si sono così nuovamente avviate oltre le porte della città, tenendosi per mano tutte insieme. Tra quelle mura le aveva raffigurate, pur se inquietanti, Giorgio De Chirico”.
di Andrea Emilliani*
Dopo le pubblicazioni Viaggio nell’Arte, la Ferrara di Emiliani e Viaggio nell’Arte con Emiliani,Ferrara dopo gli estensi, si conclude oggi la panoramica sulla Ferrara vista dal professor Andrea Emiliani. La grande Scuola Ferrarese, protagonista nelle collezioni private e nelle gallerie nazionali più prestigiose del mondo, e gli inestimabili capolavori tornati in città con l’unità d’Italia, dopo secoli di vendite e dismissioni di patrimoni.
Lo studioso tedesco Werner L. Gundersheimer, che ha portato alla luce grazie alle pagine di Sabadino un itinerario tanto affascinante, ha posto saggiamente questa solerte, meravigliata descrizione sotto il segno virtuoso d’una costante Magnificentia e dunque dell’arte intesa come potere ed autorevolezza. Il manoscritto intitolato De Triumphis religionis ci fornisce la più trascinante possibilità di evocazione che consenta di ‘conoscere’ e quasi di tornare a vedere l’arte ferrarese nel pieno della sua estensione già sul finire del Quattrocento.
É utile leggerne almeno qualche passo per trarne spontaneamente il senso della grande forma organica all’uomo della rinascenza e alla sua bellezza morale.
Entriamo a Belriguardo, la villa iniziata nel 1435, ricca di saloni e sale, di scalinate e giardini. Un primo affresco figura il duca Borso, attorniato dai suoi cortigiani. Segue poi la Stanza detta delle Sibille, dipinta nel ’48 da Nicolò Panigato, e un’altra ancora con la Caccia di Ercole I, che appare seguito dai suoi consiglieri, i Trotti, i Tolomei e l’Albersano. Leggiamo ancora: “ A la sinistra mano entramo in una anticamera in alto vaga, in cui sono dipincte le Sibille con le loro scritte prophecie, et con altro et egregio capocielo sopra el lecto elaborato et pincto, et illuminata per gratiosa finestra sopra il brolo con laudabile misura”.
In una camera, sua Signoria figurata al naturale appare “torqueata d’oro, con ricchissima gemma pendende al petto et in la beretta grandissima e speciosa margarita orientale con una picola centura di gemme alla sinistra gamba di singolare valore, chiamata Impresa, della quale munificato dal Serenissimo Re de Anglia”.
In un giardino segreto, stava dipinta la favola di Psiche, ricordata poi in un sonetto di Torquato Tasso : “ In la parete si vede con moralità singolare, sotto poetico velamento istoriata con felicissima pittura, Psiche celeste ninfa, figlia di un antiuo Re di Jonia e di tanta bellezza che venere ne era divenuta invidiosa, di che scongiurò il figlio Cupido di farne vendetta”. Questa storia, avverte Sabadino, erano di mano di un “ ottimo pittore ferrarese, che tanta morale cosa pinse secondo la tua ducal instruzione, ingegnosissimo Principe caro”.
Quanto poi alla villa di Belfiore, sorta entro l’addizione erculea progettata da Biagio Rossetti, era figurata la signoria di Alberto III, già descritta dalla penna di Ciriaco de’ Pizzicolli, e in altra sala il confronto tra la città vecchia e la città nuova, raffigurate in affresco. Altrove, il duca esce dalla città per recarsi a San Giacomo di Compostella “con splendidissima compagnia … sopra belli cavalli, tutta ad una foggia vestita, divisata mezzo pavonazzo mezzo nero, havendo li trombetti avanti con ricchi penoni a l’ arma tua ducale posta ad auro et con li muli carichi, selle ricche robe, copertati alle insegne tue ducali”.
All’arrivo della promessa Eleonora d’Este nella città, si vedono anche le cucine, dove si mostrano cuochi “ in cucina cocere fasiani, capponi, peppioni , peveraci, spolete e torte… e striuncelli, pesce passo, porcellete e ostrighe”. L’intera corte discende dal bucintoro “ in un denso bosco a caciare con grandi cani ali silvetri porci, per la vaghecia de la pittura pare sentirse la fiera voice de’ forti caciatori et il latrare de’ cani, dicendo l’ uno all’altro ‘Sta forte che non passi’. Vedesi occidereli li cacciati porci, ostendendo quasi fuori un palmo le acute zanne della spumante bocca”.
La scuola ferrarese, rimasta occulta nel silenzio della città, è forse l’ultima fra le famose scuole pittoriche italiane cui spetterà di risorgere interamente nell’abbagliante luce di una magnificazione museografica divenuta inarrestabile già nella stagione ottocentesca dei pre raffaelliti. Non a caso, la sua definitiva scoperta occupa l’attività crescente dell’ultima galleria nazionale nata nell’Europa della rivoluzione industriale, appunto la National Gallery di Londra; ed impegna l’attività critica ed anche quella promozionale o antiquariale che dir si voglia di Bernard Berenson, giunto infine a disegnarne il ritratto estetico oltre che storico nei suoi notissimi Italian Painters editi nel 1897 e poi diffusi nel mondo intero.
Il conoscitore tedesco Otto Mündler, che si era recato a Ferrara nell’ agosto 1856, si aggirò tra quelle strade e dentro quei palazzi forte dell’ incarico affidatogli appunto da sir Charles Lock Eastlake, conservatore della galleria nazionale di Trafalgar Square a Londra, di procacciare dipinti importanti per la prestigiosa sede museografica. Riapparvero nelle leggende di amore e di morte di Dante Gabriel Rossetti e di Burne Jones le avventure attonite silenti dei ferraresi perduti nei loro paesaggi aridi, lunari e abitati da rovine.
Ma l’ultima, definitiva e memorabile scoperta della Scuola Ferrarese è tutta italiana, affidata come ci appare alla stagione ancora giovanile della ricerca storica e positiva dello storico Adolfo Venturi, che dedicò all’arte della signoria Estense la sequenza critica e storica e interpretativa di ben tre saggi basilari composti e distesi dopo un’analisi archivistica di incomparabile profondità, condotta sull’onda di un metodo fondato sulla visione delle fonti storiche ereditata da Ludovico Antonio Muratori. Si tratta per l’esattezza dei Primordi del Rinasciento Artistico a Ferrara del 1884, seguito da L’Arte a Ferarra nel periodo di Borso d’Este che è dell’anno seguente, il 1885; ed infine del terzo saggio dedicato a L’Arte Ferrarese nel periodo di Ercole I d’Este, edito nel 1890. Con essi si può affermare fondata la moderna scuola italiana della storia e della critica d’arte.
Lo scavo documentario portato a fondo soprattutto nella Biblioteca Estense di Modena, dove dagli anni di Don Cesare sono ricoverate molte tra le carte della Signoria, ha posto le basi per una rifondazione storica dell’ arte ferrarese; e ciò mentre simultaneamente la lenta ma progressiva scoperta delle principali opere d’arte di quella storia gloriosa ricostruiva, grazie ad un collezionismo di qualità che nello stesso tempo invadeva anche le più brillanti collezioni d’arte ed i musei d’oltre Oceano, una vicenda artistica che aveva assunto il colore del mito. Lo stesso Venturi allestiva a Londra, nella Burlington House, una prima esposizione di questi grandi pittori così vicini ai gusti della scuola pre raffaellita nei suoi momenti più alti.
Le numerose collezioni private che si erano formate nei secoli presso le case delle maggiori famiglie dell’establishment cortese di Ferrara, a cominciare dalla straordinaria galleria Costabili, si avviarono per altro anch’esse alla scomparsa nel giro breve di anni nei quali l’esportazione delle opere d’arte al di là dei confini nazionali dell’Italia unificata non era ancora controllabile. Dall’intimità di saloni borghesi e di camere meravigliosamente arredate da capolavori nascosti, uscirono altre opere meravigliose di arte e di storia.
Vennero dissolvendosi in tal modo i patrimoni Santini, Massari-Zavaglia, Saroli-Lombardi, Riminaldi, Canonici, Barbi Cinti, Boschini, Testa, Cavalieri e altri ancora perpetuando il senso di una sconfitta che era incominciata sotto le pressioni di Clemente VIII alla fine della meravigliosa stagione del Rinascimento.
La civiltà ferrarese del Rinascimento, illustrata da una fiorente letteratura artistica antica e moderna, fu richiamata agli occhi della civiltà stessa e dell’attualità italiana ed europea grazie alla stupenda esposizione che Nino Barbantini, amministratore e scrittore valente, organizzò nel Palazzo dei Diamanti l’anno 1933.
L’anno seguente, Roberto Longhi pubblicò la sua Officina Ferrarese, che resta uno dei maggiori sforzi di ricognizione critica della storia dell’ arte moderna italiana ed europea. Da allora, e soprattutto dal Dopoguerra a questa parte, recuperi e restauri architettonici divennero il tema portante di una possibile politica per Ferrara, sia come storia che come attualità.
Uno sforzo congiunto del Comune, del Ministero per i Beni Culturali, della Cassa di Risparmio, nonché delle Associazioni di cui la città è oggi ricca, ha ulteriormente condotto a nuova luce la bella Ferrara e la sua vicenda secolare. Numerose opere d’arte sono state nuovamente acquistate ed hanno fatto in tal modo ritorno entro le mura dei Musei ferraresi, come l’intera collezione Sacrati Strozzi, frutto della decisone della Cassa di Risparmio e del Ministero Dei Beni Culturali, retto allora da Alberto Ronchey.
Le Muse si sono così nuovamente avviate oltre le porte della città, tenendosi per mano tutte insieme. Tra quelle mura le aveva raffigurate, pur se inquietanti, Giorgio De Chirico.
FINE
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